Ripresa di un drum kit col metodo Daptone
Quando Michele Bazzanella mi ha proposto di collaborare con Andrea Bolner e i Sentomatic alla registrazione del loro nuovo EP composto da cinque tracce, ho subito giocato la carta che da tempo tenevo nella manica. Perché – ho azzardato – non facciamo tutto in autonomia, con una Apollo Twin e due microfoni? In questo modo, oltre a evitare spese per uno studio di registrazione, nessuno ci metterà fretta e potremo lavorare fino a che non saremo tutti soddisfatti. Inoltre, riducendo in partenza le possibilità di intervento durante l’editing e il missaggio, saremo costretti a scelte ponderate ed efficienti già in fase di ripresa, senza troppi ripensamenti.
Una domenica di agosto, Gianluca Bernardis ha allestito il suo kit in una sala recentemente rinnovata di una scuola trentina. Utilizzando le backing track di prova realizzate da Michele Bazzanella, bassista e produttore del gruppo nonché complice in questa fatica, abbiamo proceduto all’incisione dei cinque brani in scaletta. Con Michele abbiamo predisposto una microfonazione essenziale: (a) un microfono dinamico posizionato grossomodo all’altezza del rullante e puntato tra cassa e rullante; (b) un microfono a condensatore per riprendere l’ambiente e per consentire la spazializzazione del suono altrimenti monofonico.
Se tale approccio è nato dalla volontà di prendere le decisioni più importanti in fase di ripresa piuttosto che procrastinarle al missaggio, l’ispirazione arriva da un articolo, pubblicato su Sound On Sound, a proposito dell’etichetta soul e funk Daptone Records di Brooklyn, NY:
http://www.soundonsound.com/people/gabriel-roth-recording-daptone-records
Nello studio di registrazione della Daptone, gestito dal tecnico del suono, bassista nonché co-fondatore dell’etichetta Gabriel Roth (Bosco Mann), sono stati registrati artisti eccezionali, seppur di nicchia, quali Sharon Jones & The Dap-Kings, Charles Bradley, The Budos Band, Sugarman Three e Antibalas, insieme ad artisti più noti come Amy Winehouse. Nel suddetto articolo mi ha colpito in particolare una frase in cui Gabe Roth spiega, a proposito delle sessioni di Back to Black, che non ha mai condiviso la pratica di frammentare il sound di un drum kit attraverso l’utilizzo di vari microfoni per poi doverlo ricostruire artificialmente in fase di missaggio:
- “People work so hard to get their drums to sound like they were recorded with one microphone. We just put one microphone out there. I’d rather spend two weeks looking for the right place to put the one microphone than on setting up two dozen mics and trying to balance them.”
Secondo il suo punto di vista, la magia di una performance è data dal sound e dall’interplay dei musicisti sul palco o in sala di incisione, un’arte che chi è nato nel mondo delle DAW e dell’home recording, delle tracce infinite e della quantizzazione MIDI, spesso non ha avuto la fortuna o la pazienza di conoscere. Non a caso, la peculiarità della Daptone è di aver fermato l’orologio a un particolare momento storico, al quale d’altronde sono particolarmente affezionato. Lo dico quindi sin da subito: nutro una stima di lunga data per gli artisti della Daptone Records, la loro musica e perfino la loro visione del mondo. Nutro altresì stima per il modo di lavorare di Roth, che nel suo studio aspira appunto a ricreare il sound delle incisioni funk e soul della fine degli anni ’60. In questa ricerca, egli si serve di procedure e strumenti “storicamente autentici”, dal nastro analogico alle tecniche di microfonazione.
Ciononostante, i risultati non sono necessariamente una mera riscrittura del passato: qualcuno ricorderà Pierre Menard, il personaggio che in un racconto di Borges si era prefisso di riscrivere parola per parola il Don Quijote; ironicamente, il Qijote di Menard si distingueva dall’originale di Cervantes solo per il diverso spirito del tempo in cui le due opere, peraltro del tutto identiche, erano state concepite. Ecco, la Daptone fa tutt’altro, poiché la sua musica è chiaramente figlia del presente, non solo quando interagisce con l’estetica hip-hop di Mark Ronson ma anche quando Sharon Jones canta “They’re building bombs / While our schools are falling / Tell me what in the hell we’re paying taxes for..” o quando Charles Bradley si fa testimone delle perduranti contraddizioni degli Stati Uniti in “Why Is It So Hard”.
La qualità delle incisioni della Daptone, per un appassionato di funk, è evidente dall’ascolto di uno qualunque degli artisti sopra citati, mentre un pubblico assai più ampio è venuto a conoscenza della Daptone grazie alla scelta del produttore Mark Ronson di utilizzare gli studi della Daptone e la sua house band, i Dap-Kings, per la registrazione di brani quali “Rehab” e “You Know I’m No Good” dall’album Back to Black di Amy Winehouse. In particolare, molte tracce, batteria inclusa, sono state incise proprio negli studi di Brooklyn sotto la supervisione di Gabe Roth.
Pur registrando uno strumento alla volta, abbiamo comunque adottato il procedimento di microfonazione di Roth, poiché ci è sembrato un buon metodo per restare fedeli al sound di Gianluca. Citando di nuovo il tecnico della Daptone,
- “The sound you want really is coming from the musicians.”
Su questa base, abbiamo preso uno Shure 55SH, gentilmente prestatoci da Marco Pisoni, e lo abbiamo posizionato, come detto, grossomodo all’altezza del rullante, puntandolo tra cassa e rullante. Il microfono dinamico, lo stesso utilizzato da Roth, è noto anche come microfono di Elvis e possiede un diaframma piuttosto largo che, tra le altre cose, fornisce una discreta risposta nelle frequenze basse (perlomeno rispetto all’SM58, che abbiamo provato e subito abbandonato).
Dopo alcuni tentativi siamo riuscito a posizionare il microfono in maniera soddisfacente, ottenendo un’immagine forse non ricchissima armonicamente e tendenzialmente piatta dinamicamente (un unico punto di ripresa, per di più a mezz’altezza, penalizzava i piatti più lontani, comprimendo relativamente i suoni più deboli e lontani rispetto a quelli più forti e vicini) ma per certi versi più fedele del sound del batterista. Naturalmente dobbiamo intenderci sul concetto di fedeltà. In questo caso, si tratta di una questione puramente etico-estetica: un sound genuino, senza fronzoli, in grado di mettere in primo piano il drumming di Gianluca senza troppe mediazioni e con quel tocco vintage che ci piace tanto. Inoltre, questo procedimento consente al batterista di sentire in cuffia più o meno quello che finirà nell’incisione. Infine, un microfono solo può fornire una simulazione soddisfacente dell’ascolto di una garage band in una sala prove, dove effettivamente la spazializzazione del drum kit è secondaria. In sintesi, si è scelto di prendere alcune cruciali decisioni artistiche subito invece di posporle alle fasi successive di produzione al costo di spremere leggermente il sound della batteria.
Siccome fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio, abbiamo comunque aggiunto un secondo microfono, un AKG 414, a circa cinque metri dal drum kit e a circa 60 gradi alla destra di Gianluca.
Qui potete ascoltare, rispettivamente, lo Shure 55SH e l’AKG 414 sia singolarmente (traccia registrata senza effetti) sia mixati con un po’ di equalizzazione (sullo Shure: scavo a 360 Hz per correggere il rullante che risultava un po’ cartonato, enfasi sulle alte e sulle basse a 60 Hz per esaltare piatti e cassa; sull’AKG: taglio netto con filtro shelf sulle basse) e compressione (Shure), tutto infine passato per un maximizer e reso in formato stereo:
Seguirà un aggiornamento non appena avremo registrato gli altri strumenti al fine di dare una prospettiva del sound della batteria nel contesto del lavoro complessivo.